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A e Z Aspettano l’amore

A e Z Aspettano l’amore

Donna seduta tagliata a metà, poliestere e bronzo su panchina di ferro, cm.138x130x110
Donna seduta tagliata a metà, poliestere e bronzo su panchina di ferro, cm. 138x86x46
Donna in piedi, poliestere, cm. 148x60x52
Porta, resina, cm.226x115x8
Balcone con persiane, ferro, alluminio, bronzo, cm. 252x106x40
Pavimento, con 17 piastrelle esagonali (cm. 24×24) rosse e blu e tappeto in plastica verde

Allestimento speciale per la rassegna Museo Segreto che contiene il “doppio” inquietante e segreto della donna seduta che di solito non compare.

Senza saperlo, il poeta si muove in un
ordine di relazioni e di trasformazioni possibili,
di cui egli non percepisce o non persegue che
gli effetti momentanei e particolari che ritiene importanti
in tale stadio della sua operazione interiore
PAUL VALE’RY

Dal 1969 al 1973, Cavaliere ha creato quelle che ha poi definito “teatro-sculture” di cui lui era organizzatore e regista, trasferendo così in una dimensione ancora più compiuta la passione per la scultura-racconto, che era già emersa in alcune delle sue serie precedenti e in particolare nel ciclo di Gustavo B. Nascono così I processi dalle storie inglesi di W. Shakespeare, straordinaria e grandiosa installazione (7mx10mx10m), recentemente acquisita dalla Galleria d’Arte moderna di Valle Giulia a Roma, Apollo e Dafne, esposta in questi mesi nella collettiva Hecce Homo, alla Mole di Ancona e A e Z aspettano l’amore, solitamente in comodato presso il Museo d’Arte Moderna di Verona. Quest’ultima è l’opera che abbiamo deciso di presentare per la rassegna Museo Segreto, non solo perché da parecchi anni non viene esposta a Milano, ma soprattutto perché per la prima volta viene allestita con tutte e tre le figure realizzate da Cavaliere in quel lontano 1971: la donna in panchina ha infatti un suo doppio, rimasto segreto, e conservato abitualmente lontano dagli occhi del pubblico. Questa rassegna ci è sembrata un’occasione straordinaria per ricostruire un tassello praticamente sconosciuto dell’elaborazione poetica di Cavaliere.
Come spiega Alik stesso in un breve video realizzato da Ninni Mulas in occasione della grande esposizione personale del Maestro a Palazzo Reale, nel 1992, A e Z sono due donne che attendono l’amore. Sono due donne romantiche e sognatrici, che immaginano l’amore assoluto, quello descritto dai grandi romanzi ottocenteschi, l’amore di Faubert e di Stendhal, e che invece hanno incontrato nella loro vita sempre e solo piccole storie, avventure insignificanti e di poco conto che non hanno permesso al loro cuore di battere e alla loro immaginazione di incontrare la realtà. “In A e Z, commenta l’artista, l’amore è visto in un suo momento impossibile e drammatico. A e Z aspettano come personaggi passivi; con un bagaglio di ricordi e di tempi perduti: la porta, la finestra, la panchina, il libro, la rivista sono parti, attimi di un’attesa tradizionale”. Come scrive Elena Pontiggia nella presentazione del Catalogo delle sculture di Cavaliere del 2011, “… due Penelopi contemporanee, anch’esse irrealizzate e incomplete, attendono al balcone o sulla panchina un Ulisse che non arriva, mentre una porta duchampiana rimane ostinatamente chiusa […]. Il falso è l’apparenza illusionistica che assume la rappresentazione, dove tutto è riprodotto con assoluta esattezza eppure tutto diventa “altro”. Il procedimento di Cavaliere è sempre dechirichiano e metafisico: muove dalla mimesi per giungere allo straniamento. Non modifica la forma, ma i significati”. (p.27)
Alik Cavaliere nel maggio del 1971, quando presenta per la prima volta quest’opera alla Galleria Schwarz a Milano, insieme ad Apollo e Dafne e a Le stagioni, scrive di suo pugno un commento all’opera che riportiamo almeno in parte qui di seguito (Appunti per un dialogo oltre l’opera, in 3 environments, Schwarz, Milano, Catalogo n.108, maggio 1971):

-IL SOGGETTO. “Occorre che i soggetti non siano abituali (piuttosto riprendere soggetti smessi o latenti) e occorre ripetere necessariamente ed insistere più volte sui medesimi schemi per superare la frettolosa disattenzione dell’annoiato spettatore , troppo abituato all’apatia mentale da un incessante bombardamento di immagini. I soggetti che ho scelto per questa mostra sono letterari nel senso più decadente, “popolari” nel senso più deleterio. “Due antiche storie d’amore”: Apollo e Dafne e A e Z aspettano l’amore […]. Soggetti dalla lacrima facile –anche se l’ibernazione nella quale sono situati impedisce il lieto fine- e dalla comprensione immediata”.

-LA SCULTURA SPETTACOLO. Le storie d’amore vogliono essere, sono, una “scultura spettacolo”; volutamente spettacolo per meglio aderire alle esigenze del racconto.
Spettacolo parziale -un compromesso- per l’impossibilità di uno spettacolo vero (vivo) e ciò in relazione anche allo spazio fisico nel quale viene allestito ed al pubblico al quale di rivolge, Spettacolo che non diviene mai tale, in quanto agisce solo sullo spazio, ma non muta il tempo che è bloccato potendo variare (assolutamente inutilmente) solo quello dello spettatore. Spettatore che a sua volta, sia che venga respinto in platea [è il caso dell’Apollo e Dafne, n.d.r.], sia quando è libero di aggirarsi all’interno della scultura [ed è il caso di A e Z, che è esposta in questa occasione, n.d.r.], vi si trova estraneo, impossibilitato ad agire, a determinare qualcosa con la propria presenza. E, sempre riferendomi alle storie d’amore nulla avviene mutando o alterando i termini del racconto. In definitiva, questo spettacolo improprio intende piuttosto contribuire, per quanto in suo potere, a rompere il tramite, il ponte con la scultura celebrativa, soprattutto quella che da monumentale, ufficiale, divenuta “oggetto scultura”, si è insinuata nelle nostre case, sui nostri tavoli, mantenendo, perpetuando il carattere celebrativo, monumento di mutate dimensioni, di uso privato (rarissimamente emblematico). La scultura spettacolo non tenta subdolamente di sostituirsi alla scultura oggetto poiché la lotta per non divenire prodotto è perduta in partenza. Per questo ho consentito la vendita a pezzi anche frazionando le singole immagini. Spettacolo improprio, quindi, ma principalmente falso (e su ciò non ho altro da aggiungere).

-GLI STRUMENTI. Il materiale, il colore, il falso, lo specchio, divengono strumenti fisico-psicologici in diretta funzione del messaggio, del racconto, della scultura spettacolo.
Il falso. Inizio subito da questo e lo definisco strumento essenziale. E’ falso tutto, tutto è ribaltato in “altro”. Ogni singolo elemento è eseguito in modo da renderne perfetta l’imitazione, riprodotto o stampato sul vero, ma snaturato, sia nel materiale sostituito sia nell’uso. (Z aggiunge alla falsità una ambiguità propria rispetto agli altri elementi: contiene un proprio racconto-scultura nel suo interno).
[…].
Il colore. Pur essendo imitazione del vero è sempre leggermente sfalsato, eccessivo.[…]
Tutto il lavoro è eseguito al meglio delle mie possibilità artigianali, nella maniera (mi siano consentiti i termini) più costosa e raffinata (e tale voluta raffinatezza non mi disturba che giunga ad essere vista persino come cattivo gusto). E’ una scelta voluta, in quanto, secondo me, nella fase nella quale operiamo, il lavoro non ha nella sua totalità caratteristiche nuove proprie –date da un corretto rapporto e di funzione e di mercede. Trovo giusto che sia fatto bene (giudicando con il vecchio metro) e ciò per permettere la sua sopravvivenza all’interno del circuito “chiuso “ nel quale si muove.
-IL MESSAGGIO. Il messaggio affidato a veicoli di comunicazione artistica giunge solo parzialmente e indirettamente, spesso per vie traverse. Giunge per ciò che ha di aderente a esigenze comuni a più persone, per quanto contribuisce a richiamare altri momenti plurimi nei quali si inserisce, parziale sostegno di un discorso corale, di un momento del quale è, diviene parte. Non più alibi di chi lo pronuncia. Ma motivo di vita. In tale situazione nuova “tutto” diviene valido, ma nulla è indispensabile ed in ciò sta un primo vero, attuale ridimensionamento del lavoro dell’artista.
L’artista prima verifica l’inutilità di confezionare un prodotto con contenuti pseudo tali, l’impossibilità del discorso privato, singolo, l’impossibilità del messaggio a livello diretto, in seguito verifica la necessità di ritrovare il proprio messaggio in altri e constata come questi altri, fruitori o presunti dispensatori di messaggi, svolgono gli stessi (o altri) momenti paralleli del discorso. Nasce così la giustificazione del lavoro del singolo che sempre più si trova a necessitare degli altri, a cercare le parti del discorso parallele, complementari che gli occorrono e per tale motivo anche un messaggio parziale modesto può divenire indispensabile.
Nell’attuale fase dovrà diventare parte della rappresentazione (corista, non solista) recitare con gli altri e per un solo apparente controsenso la sua parte diventerà via via più determinante, sempre che la scelta fatta resti cosciente e responsabile, In un secondo tempo, non ancora oggi possibile (ma prevedibile), riassumerà autonomia, questa volta pubblica. Ed allora agirà indipendente, ma sarà in dipendenza precisa ed indispensabile per e con gli altri.
Lentamente, ma irreversibilmente, l’artista oggi compie il passo dal “privato” al “pubblico”. Ed ecco una nota ancora sull’eventuale messaggio che l’opera lascia:
le scelte operate, il tessuto della scultura spettacolo, il racconto, gli strumenti usati, il letterario decadente soggetto, il banale che essa contiene, consentono (anzi autorizzano) un accoglimento o una repulsa netti, un giudizio immediato, facile (troppo?)”

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