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4 aprile / 8:00
8 aprile / 17:00

Sotheby’s

Palazzo Serbelloni, Corso Venezia 16, Milano

Credo di aver fatto scultura sempre per necessità espressive, comunicative, estetiche, di linguaggio (talora trasgredendo le tecniche), salvandomi, mi auguro, dal diventare un buon professionista produttore di beni artistici.

L’artista

Nell’ambito delle mostre promosse a Milano, Sotheby’s è lieta di accogliere nei propri spazi la mostra dedicata ad Alik Cavaliere (1926-1998) a cura di Angela Vettese.

Figlio del poeta Alberto Cavaliere e della scultrice ucraina Fanny Kaufmann, dopo un’infanzia condizionata dall’attività antifascista del padre e dalle leggi antisemite, compie gli studi al Liceo Berchet di Milano e si diploma all’Accademia di Brera, sotto la guida di Marino Marini, al quale succede nel 1970 alla cattedra di scultura.

Raffinato prosecutore del dadaismo e attento alla lettura di Duchamp, di cui fu assiduo frequentatore grazie ad Arturo Schwarz, e del vocabolario dada- surrealista, ha piegato il linguaggio della scultura classica all’idea di montaggio, bricolage e object trouvé che caratterizza l’arte più innovativa del Novecento, cui fanno seguito l’indagine della scultura ambientale e di un environment sempre disposto a cambiare, cioè ad assumere forme impreviste, aggiunte, aggiustamenti a seconda del contesto architettonico ma anche di relazioni umane in cui si viene a trovare. Per la sua capacità di affrontare la sfida linguistica del XX secolo, associandola con i temi costanti della vita, Cavaliere ha una ricchezza di temi che merita una vasta rilettura critica.

La vicenda

Negli anni Cinquanta Cavaliere inizia a trattare il tema della Metamorfosi, che rimarrà centrale in tutta la sua ricerca. Dal 1964 esplora il tema delle vegetazioni, ispirato al De Rerum Natura di Lucrezio. Partecipa più volte alla Biennale di Venezia, insieme ad altri nella mostra Scultori italiani, nel ’56 , e con una sala personale nel 1964 e nel 1972, anno in cui presenta una delle sue opere più significative: I processi delle storie inglese di W. Shakespeare, grandiosa installazione, attualmente patrimonio della Galleria d’Arte Moderna di Roma. Nel 1964 lavora alla mostra Arbres da Arturo Schwarz. Nel 1970 realizza due environment: Apollo e Dafne e A e Z aspettano l’amore. Per tutti gli anni Settanta sviluppa e prosegue il ciclo Viva la libertà. Nel 1973 presenta – nell’ambito della XII Biennale d’Arte al Museo Middelheim di Anversa – l’installazione Surroundings a cui lavorerà per oltre dieci anni. Negli anni Ottanta perpetua la modalità delle grandi installazioni, realizzando i Percorsi, “dei labirinti, scrive l’artista, in cui potermi incontrare con l’eventuale visitatore/spettatore per poi perderci entrambi all’interno dell’opera stessa”. Le sue ambientazioni, labirinti che raccontano sia la struttura della mente che quella dell’esistenza, includono La Memoria (1987), Passato, presente e… Pian Cordova, oggi al MART di Rovereto. La sua ultima grande opera, incompiuta, è il Grande Albero, oggi esposto nel chiostro del Conservatorio di Milano. Oggi buona parte del suo lavoro ruota negli spazi del Centro Artistico Alik Cavaliere, via De Amicis 17, a Milano.

La mostra

Questa piccola mostra si propone, come sineddoche di un itinerario complesso, in cui le suggestioni letterarie si legano continuamente a ricerche concettuali, ben oltre un puro rispetto della scultura tradizionale il lessico, al contrario, Cavaliere ribalta continuamente.

Due precoci sculture, Studio per giochi proibiti (1958/1959) e Fine di un amore (1962) sono scortate dai dipinti che ne hanno accompagnato la creazione, vere pitture da scultore gravide della terza dimensione. Gli Arbres premettono di ritrovare il sapore della sala personale che l’artista ebbe alla Biennale di Venezia del 1964. Troviamo ironia e ricerca sui materiali in E ne ha così assoluta certezza, quanta se n’abbia l’istessa natura (1966-1967) e nel Cortile (1965-67), dove la materia plastica avvolge e separa le parti in bronzo e dove omini malcapitati, costretti all’anonimato della metropoli, hanno i piedi al posto della testa. Nell’opera …e venne la pioggia (1968) l’acqua restituisce suono e movimento, con sincronismo rispetto alle ricerche cinetiche, polimateriche e ambientali di quegli anni. Albero-cambio (1987) racconta la complessità della correlazione tra l’uomo e la natura – oggi diremmo tra corpo organico e cyborg – che Cavaliere associa la vegetazione a un corpo meccanico come un continuum bizzarro di funzioni. L’opera più recente, Dafne, 1991, riassume il continuo confronto di Cavaliere con il mito e la storia delle sue rappresentazioni. Il mito ci racconta chi siamo e ci accompagna nei secoli: Dafne che fugge Apollo diventando parte della natura è un esempio di come favole antiche interpretino ancora oggi le nostre paure, le nostre aspirazioni e tutto ciò che ci muove dal profondo.

Le opere

  • 1958-1959, Studio per giochi proibiti: bronzo, 70x26x43 cm.
  • 1962, Fine di un amore: porcellana, bronzo, 38x90x63 cm.
  • 1965-1967, Il cortile: bronzo, resina, legno, ceramica, porcellana, piombo, 81x82x66 cm.
  • 1966-1967, …E ne ha così assoluta certezza, quanto se n’abbia l’istessa natura: bronzo, acciaio, plastica 261x137x95 cm.
  • 1968, …E venne la pioggia: bronzo, acciaio, alluminio, cristallo, sassi, acqua, 150x100x70 cm.
  • 1987, Albero cambio: bronzo, alluminio, acciaio 206x73x57 cm.
  • 1991, Dafne: bronzo, ottone, 171x66x50 cm.

Angela Vettese su Alik Cavaliere, Palazzo Serbelloni